Domandare il rimborso di una multa pagata è un’operazione che, in Italia, si può intraprendere soltanto quando l’atto sanzionatorio sia stato annullato in via amministrativa o giudiziale, poiché l’ordinamento non prevede la restituzione di somme volontariamente versate se la sanzione rimane formalmente valida. Il punto di partenza è dunque l’esistenza di un provvedimento che abbia eliminato la multa dall’ordinamento: può trattarsi dell’archiviazione in autotutela da parte dell’ente accertatore, della decisione del Prefetto che accoglie il ricorso ex articolo 203 del Codice della strada, della sentenza del Giudice di pace resa ai sensi dell’articolo 204-bis o, ancora, del decreto del Giudice tributario nelle zone in cui la competenza sia stata nel frattempo devoluta alla giurisdizione tributaria per le sole sanzioni di natura fiscale. In tutti questi casi, il titolo a ottenere la restituzione discende dal principio di ripetizione dell’indebito di cui all’articolo 2033 del codice civile.
Una volta in possesso dell’atto che annulla il verbale o la cartella di pagamento, occorre individuare il soggetto che materialmente ha incassato la somma. Se il pagamento è stato eseguito entro i primi sessanta giorni dalla notifica, il creditore è di norma l’ente accertatore, cioè il Comune per le violazioni al Codice della strada elevate dalla Polizia locale, oppure l’organo statale competente (Polizia di Stato, Carabinieri, Polizia Stradale) quando l’illecito sia stato accertato su strade statali o provinciali. Se invece la somma è stata versata dopo la formazione del ruolo, il creditore formale diventa l’Agenzia delle Entrate-Riscossione o il concessionario locale, che opera come riscossore per conto dell’ente originario. La richiesta dovrà essere indirizzata all’uno o all’altro in funzione di chi abbia effettivamente incamerato il denaro.
La forma più sicura è la raccomandata con avviso di ricevimento o la PEC, nella quale devono essere indicati gli estremi del verbale, la data e la modalità di pagamento, l’IBAN su cui si desidera ricevere l’accredito e, soprattutto, deve essere allegata copia conforme dell’atto di annullamento. Se l’annullamento è avvenuto in autotutela, sarà buona prassi chiedere all’ufficio che lo ha emesso di attestare l’avvenuta esecutività del provvedimento e la sua non impugnazione, così da evitare eccezioni sull’eventuale pendenza di termini di impugnazione. Il termine concesso all’amministrazione per procedere al rimborso non è fissato dalla legge; la giurisprudenza ritiene applicabile quello ordinario di trent’anni per le azioni di ripetizione di indebito, ma, nella prassi, la richiesta si formula entro cinque anni dal pagamento, parallelo al termine di prescrizione del diritto alla riscossione delle sanzioni amministrative.
Se il Comune non provvede alla restituzione nel termine di centottanta giorni dalla ricezione dell’istanza, il cittadino può adire il Giudice di pace con il rito sommario di cognizione: l’azione si fonda sull’illecito arricchimento dell’amministrazione a fronte di un pagamento non dovuto. Quando il debitore è l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, la competenza è attribuita al giudice ordinario in funzione di Giudice delle esecuzioni oppure, secondo alcuni orientamenti, al giudice tributario qualora la somma riguardi anche soprattasse o interessi iscritti a ruolo. In ogni caso, l’atto introduttivo deve allegare ricevuta di pagamento, titolo di annullamento e prova della domanda di rimborso rimasta inevasa.
Può accadere che nel frattempo sia trascorso molto tempo e che il contribuente abbia smarrito le ricevute di pagamento. In tal caso, la copia autentica del ruolo resa dall’agente della riscossione o la copia dell’estratto di ruolo può sostituire la quietanza; la Cassazione, con sentenza 36894 del 2022, ha dichiarato che tali documenti bastano a dimostrare l’esborso, malgrado siano formati dall’ente medesimo. Il debitore deve tuttavia provare di aver versato la somma, sicché, in mancanza di qualunque traccia informatica, l’azione rischia di essere respinta.
Infine, se il verbale è stato annullato solo parzialmente, ad esempio perché il Giudice di pace ha rideterminato la sanzione in misura ridotta, il rimborso spetta solo per la differenza fra quanto corrisposto e quanto effettivamente dovuto. L’ente effettuerà un calcolo che include eventuali interessi legali dalla data del versamento a quella dell’effettiva restituzione, salvo diversa statuizione contenuta nel provvedimento giudiziale.
In sintesi, per recuperare quanto pagato a seguito di una multa dichiarata illegittima non basta dimostrare l’errore dell’accertamento: serve anche individuare l’avente causa nel rapporto di riscossione, formalizzare una richiesta corredata di IBAN, documentare il pagamento e, se necessario, azionare in giudizio l’ente per la ripetizione dell’indebito ai sensi dell’articolo 2033 del codice civile. Così impostata la procedura consente di ottenere, nella maggior parte dei casi, la restituzione integrale della somma, maggiorata degli interessi di legge.